Un nome non proprio simpaticissimo: caregiver informale.
Dietro questa espressione che sembra così distante si nasconde invece una figura molto comune: letteralmente “colui che si prende cura”, ossia una persona che assiste: il proprio coniuge, il proprio genitore, o un qualsiasi altro parente o amico, quando questa persona terza abbia particolari esigenze di assistenza dovute a salute, disabilità o malattia cronica.
Un esempio?
Un figlio che abbia un genitore afflitto da un tumore e necessiti di attenzioni e assistenza costante, tanto per citare uno dei mille frangenti possibili.
Con l’attuale emergenza epidemiologica e la necessità di proteggere le persone assistite da un ipotetico contagio, la vita dei caregiver è indubbiamente peggiorata. Maggiore attenzione, maggiori precauzioni e tante più difficoltà.
Sono la mamma di un ragazzo disabile che frequenta un corso regionale, attualmente online e che quindi è a casa tutto il giorno; sono la moglie di un uomo gravemente malato da anni, riconosciuto persona disabile in stato di gravità e soprattutto immunodepresso; sono una lavoratrice a cui non viene concesso lo smart working. Da oltre 7 mesi non sto lavorando per accudire i miei familiari e per non metterli a rischio. La mia situazione è uguale a quella di tanti altri caregivers che quotidianamente si fanno carico dei propri familiari disabili o malati, ma di noi in questa seconda fase di coronavirus non si parla più. Chiedo ai politici di ricordarsi di noi. La decisione di marzo scorso di aumentare i giorni di permesso lavorativo (L. 104/92), sebbene non abbia risolto le nostre difficoltà, è comunque stata di grande aiuto. Aiutateci ancora.
I caregiver informali sono in qualche modo le “vittime nascoste” delle situazioni in cui ci sono persone con bisogni specifici.
Assistere una persona cara, specie se affetta da malattia, significa affrontare i suoi cambiamenti, che siano solo di salute o anche comportamentali e/o cognitivi. Non di rado i caregiver si trovano a dover sperimentare ansia, frustrazione, preoccupazione, tristezza, senso di impotenza, a cui si aggiungono le difficoltà che questo 2020 può aver portato nel coordinamento familiare (specie per chi ha figli alle prese con la dad o per chi sta sperimentando forme complete o parziali di smart working) o nel rapporto con la dimensione sanitaria.
Lungo tutto il percorso di assistenza, specie a fronte di un assistito afflitto da malattia, si possono provare nei confronti del proprio caro emozioni diverse, anche tra loro contrastanti, a volte contraddittorie o conflittuali: tenerezza, amore, compassione e allo stesso tempo rabbia, irritazione, stanchezza, senso di colpa, disperazione.
Cambiano i ruoli, le relazioni, le modalità di avvicinarsi alla persona cara.
In questo 2020 così particolare e difficile, ricordiamoci anche di chi è costretto a fare sforzi grandi nella vita, nelle abitudini, nel lavoro, nella socialità, per permettere a chi assiste di continuare ad avere cure quotidiane.
Non dimentichiamoci di chi in genere viene dimenticato.

Laura Liguori è in Mediapress dal 2018. E’ parte della redazione giornalistica, si occupa di servizi video e sito web.