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21 Marzo: una data che non va’ dimenticata. Ecco perchè

Il 1° marzo 2017, con voto unanime alla Camera dei Deputati, è stata approvata la proposta di legge che istituisce e riconosce il 21 marzo quale “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”.
Una giornata di particolare importanza, di cui almeno noi di Mediapress vogliamo parlare, poichè racchiude un significato fortissimo, che ognuno di noi dovrebbe tenere ben impresso nella propria coscienza e nella propria cultura.

Basti pensare che l’iniziativa nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci, figlio di cui non sentiva pronunciare mai il nome: un dolore insopportabile… ed allora dal 1996, ogni anno, in una città diversa, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria in un interminabile rosario civile, per far vivere ancora quelle vittime innocenti, per non farle morire mai.

Le mafie sono molto più di organizzazioni criminali: sono fenomeni sociali, elementi storici, mali che ad oggi non si è ancora riusciti ad estirpare.
Non staremo qui a parlarvi di storia, o ad emettere facili giudizi su una realtà oggettivamente negativa; piuttosto vorremmo fare alcune considerazioni.

Conoscevo un tempo un uomo di nome Luigi. Luigi era nato che era ancora in corso il secondo conflitto mondiale, in un paese non molto distante da Napoli. Erano tempi di fame, ma la sua famiglia non versava in condizioni critiche: il padre era autista per tale “Pascalone”, uomo che i ricordi di bambino di Luigi, probabilmente idealizzandolo, dipingevano come forte, autorevole, con una moglie bellissima chiamata “Pupetta”. “Pascalone” proteggeva tutti in paese, dava soldi ai bambini se gli compravano le sigarette, dirimeva i contrasti, faceva sì che regnasse nel tessuto sociale armonia.

Un uomo splendido, dunque.

Beh, lo sarebbe stato se non fosse che governava col terrore, dirimeva i contrasti sociali con una legge da lui stesso sancita, che tutti erano obbligati a seguire, volenti o nolenti. Un boss, dunque… di cui ancora però, a distanza di oltre un lustro, Luigi parlava con ammirazione. Ammirazione derivante da una cultura assolutamente distorta, una cultura inculcata a Luigi sin dalle fasce, che a distanza di tanti anni e di una vita vissuta in tutt’altro contesto sociale non riusciva completamente a scrollarsi da dosso. E per questa stessa cultura tante altre vicende della gioventù di Luigi, dal mestiere di taluni parenti a fatti di cronaca da scalpore, venivano presi come cose “normali, che capitano”.

La storia di Luigi, tremendamente vera, è una storia che deve insegnarci come ogni cambiamento debba partire in primis da noi.

Finchè ci saranno persone che accetteranno, che banalizzeranno, che vedranno i lati positivi delle mafie, la battaglia non sarà mai vinta. E non si tratta di un fenomeno lontano anni luce da noi: si tratta di una piaga fortemente presente in Italia, magari anche a breve distanza da noi.

Ed è per questo che combatterla, almeno culturalmente, è un dovere che abbiamo tutti, come cittadini ma ancor prima come uomini e come donne.

Girare la testa davanti a vessazioni ed ingiustizie, od accettarle, od abbassare il capo difronte ad una qualsivoglia statuizione del terrore, significa allontanare il giorno in cui le mafie vedranno la parola fine.

Dobbiamo credere con forza nella sacralità della nostra libertà, nel rispetto delle leggi democratiche, nell’uguaglianza, nella giustizia onesta e uguale per tutti: diritti che è nostro preciso dovere difendere e trasmettere alle nuove generazioni. Ricordiamolo sempre.


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